News - Dall’olio di cucina usato al biodiesel: si può fare di più

Non in tutte le città è possibile recuperare l’olio vegetale. Buttarlo negli scarichi è dannoso per l’ambiente

Immaginate che in tutte le cucine, contemporaneamente, tutti apriamo una scatoletta di un qualsiasi prodotto sott’olio e facciamo colare nello scarico del lavandino l’oleosa sostanza. Una scatoletta moltiplicata per 60 milioni di italiani. L’effetto dell’olio da cucina esausto sull’ambiente - quello di frittura così come quello che conserva il cibo in scatola- è deleterio. I depuratori faticano a filtrarlo e nonostante l’aggiunta di enzimi agiscono solo parzialmente. Pur essendo classificato come rifiuto non pericoloso, è dannoso per l’ambiente: soprattutto per l’acqua, perché forma un velo sulla superficie che non permette lo scambio dell’ossigeno fra l’acqua e l’aria. Questo provoca danni all’ecosistema, con moria dei pesci e della flora acquatica. Inoltre se penetra nelle falde acquifere profonde può rendere l’acqua non potabile.

 

 

L’olio di cucina eliminato negli scarichi è dannoso per l’ambiente

DA RIFIUTO A RISORSA - Ecco dunque alcune buone ragioni per non buttare l’olio della nostra scatoletta (o quello della padella dove abbiamo appena fritto i carciofi) nello scarico. Anche perché da rifiuto quell’olio può diventare risorsa. Se raccolto, viene rigenerato e trasformato: diventerà biodiesel, lubrificante vegetale per macchine agricole, glicerina per saponificazione, si trasformerà in distaccanti per l’edilizia e molti altri prodotti industriali. Il Conoe (Consorzio obbligatorio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti), assicura la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio, il trattamento e il riutilizzo degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti.

Una raffineria dove l’olio di cucina recuperato diventa biodiesel (Conoe)

I DATI - «Il consumo di oli alimentari in Italia è di circa 1.400.000 tonnellate di cui circa il 20% (280 mila tonnellate) diventa rifiuto: 70 mila tonnellate è il residuo proveniente dalla ristorazione, 50 mila dall’industria alimentare, e 160 mila dalle utenze domestiche», elenca Roberto Restani, responsabile operativo del Conoe, che raggruppa le imprese che producono, importano o detengono oli e grassi vegetali e animali esausti (il settore ristorazione), quelle che li riciclano e recuperano e le associazioni che ne effettuano la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio. Nel 2009 sono state raccolte e riutilizzate 42 mila tonnellate di olio esausto vegetale e animale (per un valore pari a 25,2 milioni di euro) mentre nel 2012 le tonnellate raccolte e riusate sono state 47 mila (33,84 milioni di euro): l’obiettivo per il 2015 è arrivare a 100 mila tonnellate.

Una raffineria dove l’olio di cucina recuperato diventa biodiesel (Conoe)

RACCOLTA - Come? Naturalmente incrementando la raccolta, al momento organizzata a scacchiera e poco divulgata. Chi sa se nella sua città i raccoglitori autorizzati di oli da cucina esausti sono presenti in qualche isola ecologica o di fianco a qualche supermercato? «Quello dell’olio è uno dei recuperi più recenti, ma con il boom del biodiesel per fortuna se ne comincia a parlare», commenta Celestina Cignarelli, della segreteria operativa di Aroe (Associazione recupero oli esausti). «Le grandi catene di fast-food, le mense, l’industria alimentare devono obbligatoriamente conferire l’olio esausto, mentre i cittadini, che sono molto sensibili a questo argomento, non in tutte le città ne hanno la possibilità»,aggiunge.

COMPLICATO - «Il recupero o non viene fatto o è estremamente complicato. In molte città del Sud Italia, in Campania e in Sicilia, hanno installato comode campane per raccogliere l’olio, simili a quelle per la raccolta del vetro. Considerata la forma, le chiamano Olivia». Roma ha avviato il progetto Dall’olio fritto al biodiesel, installando fusti per la raccolta in alcune scuole e mercati capitolini: l’Ama, la municipalizzata che occupa anche dei rifiuti, ha calcolato che dall’olio vegetale esausto prodotto dalle famiglie romane si potrebbero ricavare 7 milioni di litri di biodiesel ogni anno (che potrebbero alimentare 7 mila auto). A Milano, pochi lo sanno, qualche isola ecologica Amsa raccoglie l’olio di cucina.

 

 

PROGETTO PILOTA - Proprio al confine con il capoluogo lombardo è appena stato lanciato il progetto pilota Fai il pieno d’olio: nuova vita per l’olio di frittura. L’iniziativa coinvolge cinque Comuni (Cambiago, Cavenago Brianza, Pozzuolo Martesana, Gessate e Bellinzago Lombardo) per un totale di 34 mila abitanti e prevede la raccolta dell’olio (in una tanichetta distribuita alle singole famiglie) e consegna presso l’isola ecologica appositamente predisposta o con cadenza quindicinale attraverso il passaggio di un automezzo autorizzato o con raccolta porta a porta. «Alcuni Comuni per organizzare la raccolta si appoggiano alle aziende consortili che installano i fusti presso i supermercati»,concludono dal Conoe. «L’hanno fatto ad Ancona, a Rovigo, in Comuni medio grandi e funziona molto bene. Il cittadino è facilitato se trova il fusto in un negozio: mai chiamerà la municipalizzata per consegnare a pagamento il suo olio fritto, e difficilmente andrà sino all’isola ecologica. Come si fa la raccolta delle pile, così si dovrebbe organizzare anche quella dell’olio».

 

Fonte: Corriere.it

11/12/2013