News - Sistri, un disastro senza fine
Il papocchio prosegue. Non bastavano le proroghe a catena, l’inchiesta sulla gestione degli appalti e gli arresti eccellenti della scorsa primavera, le centinaia di milioni pubblici (400 secondo le stime) e privati spesi ancora senza un perché. Adesso sul Sistri, il sistema di tracciabilità dei rifiuti promosso sei anni fa dal Ministero dell’Ambiente, pende l’ennesima beffa. Quella cioè di rappresentare, più che uno strumento a salvaguardia della legalità, un ostacolo per le imprese che operano onestamente e che si ritrovano nella morsa di una procedura più volte testata ma ancora assai lontana, a quanto sembra, dalla piena funzionalità. Sale dal gruppo “Sistri: che fare?” infatti, sostenuto su Facebook da oltre 1.100 membri, la protesta degli imprenditori esasperati dagli intoppi del sistema messo a punto (si fa per dire) dalla Selex e varato dopo una decina di false partenze lo scorso 1 ottobre a beneficio dei 17mila operatori che trattano rifiuti pericolosi (tutti gli altri, circa 400mila in tutto, al Sistri dovranno passare nel marzo 2014).
Grida di dolore che giungono da trasportatori alle prese con le black box installate (a proprio spese) sui camion che s’impallano per ragioni imperscrutabili e prosciugano per di più le batterie dei mezzi, raccoglitori di olio esausto che chiedono lumi al cospetto dei token bloccati dagli antivirus dei computer di destinazione («E poi viva la privacy – spiega un utente – dentro la chiavetta nel file pdf ci sono le credenziali della stessa, quindi se la perdi, chiunque la ritrovi può agire per conto tuo»). La tensione è altissima fra le aziende che hanno dovuto spendere durante gli ultimi due anni migliaia di euro fra acquisto delle apparecchiature, contratti telefonici, formazione del personale e canone obbligatorio sospeso per carità di patria nel 2012 dall’ex ministro Clini: «Siamo su una media di 15 minuti a scheda il che comporta un lavoro uomo di circa sei ore al giorno, lo stesso lavoro coi formulari era di due. Il sistema informatico dovrebbe aiutare, non mettere il bastone tra le ruote a chi lavora» testimonia un autodemolitore. E c’è chi invoca, nel silenzio generale dei media, soluzioni estreme: «Mail a tutte le aziende, blocchiamo l’Italia come loro bloccano noi».
Ma l’allarme non arriva soltanto dal social network. La scorsa settimana, davanti al Comitato di vigilanza istituito presso il Ministero dell’Ambiente, i consorzi hanno denunciato durante gli ultimi 15 giorni un sensibile calo dei conferimenti di batterie e lubrificanti. Rimangono dai produttori? O prendono percorsi alternativi a quello accidentato del Sistri? Mentre a Roma rischia di esplodere l’emergenza dei rifiuti ospedalieri visto che il termovalorizzatore di Ponte Malnome, dove si smaltisce questa tipologia di materiali, all’inizio di ottobre è rimasto aperto soltanto due giorni prima che l’Ama ne comunicasse, lunedì 7, la chiusura a tempo indeterminato: «Le aziende di autotrasporto stanno sostenendo un ingente aggravio dei costi che si somma ai già consistenti costi sostenuti per adeguarsi all’entrata in vigore del Sistri, un sistema di tracciabilità dei rifiuti farraginoso, che sta manifestando tutti i suoi limiti – si legge in una lettera indirizzata da Pasquale Russo, presidente della Federazione autotrasportatori italiani, al sindaco Marino – Un sistema dispendioso, entrato in vigore senza essere stato testato, le cui inefficienze si ripercuotono ora sulle aziende e sulla salute dei cittadini». Forse è il caso di prenderne atto e d’interrompere un accanimento terapeutico che fa soltanto male all’Italia.
Fonte: La Stampa.it
14/10/2013